How to practice?
Short notes by Roberto Prosseda

1. L'emissione del suono al pianoforte: dall'idea al tasto

Prima di addentrarci nell’analisi degli strumenti tecnici con cui gestire la produzione del suono, è fondamentale avere in mente una chiara idea del timbro che vogliamo produrre. È utile, quindi, pensare ad ogni suono o gruppo melodico come uno o una serie di vettori: di ciascuno dobbiamo avere ben chiari il suo verso, l’orientamento e la velocità.

L'idea del suono deve, in pratica, comprendere una precisa gradazione dinamica (ppp, o mp, etc) e una direzione, che determina un rapporto chiaro tra il suono stesso con quello che lo precede e con quello che segue. Dal rapporto tra più suoni scaturisce il significato musicale. Ogni suono che viene emesso dal pianoforte, infatti, deve portare con sé un messaggio. Il messaggio è sempre caratterizzato da una direzione, ossia da un movimento che segue una determinata linea retta o curva, ad una determinata velocità, e con una ideale meta. Possiamo immaginare suoni che vanno in alto, altri che cadono verso il basso, altri che rimangono sospesi a mezz'aria. Si tratta, naturalmente, di suggestioni mentali, che però danno vita a suoni con caratteristiche timbriche diverse.

Una volta che abbiamo chiare le suddette caratteristiche per ciascun suono che stiamo per eseguire, sapremo trovare il gesto che corrisponda a quel determinato suono: la direzione che noi immaginiamo, infatti, produrrà un gesto conseguente. Se immaginiamo un suono che sale verso l'alto, sarà istintivo compiere un movimento elastico dell'avambraccio e del polso, come se il suono fuoriuscisse dalla tastiera per “evaporare” in su, attaccando il tasto morbidamente, essendo già a contatto con esso con il polpastrello del dito (non con la punta del dito), e rilasciandolo gradualmente. Viceversa, se immaginiamo un suono che “sprofonda”, verrà naturale un gesto verticale verso il basso, con progressivo scaricamento del peso del braccio, e con un movimento del dito che procede verso l'interno del tasto.

Abbiamo così esemplificato due dei tipi di suono (comunemente si direbbe due “tipi di tocco”): il suono “in su” e quello “in giù”, diversi e complementari, che io personalmente considero la base della tecnica pianistica. In entrambi i casi, il dito non agisce per sé, ma sempre come ultimo anello di una catena di leve e di movimenti che partono dal busto del pianista, passando per tutti gli snodi che possiamo utilizzare: spalla, gomito, polso, e le tre falangi. Tutte le leve coinvolte (braccio, avambraccio, mano, e le tre falangi di ogni dito) sono attive e solidali, nel senso che partecipano al movimento con i rispettivi muscoli, i quali sono in lieve tensione per non lasciare che alcuna leva sia cedevole. Ciò non comporta necessariamente che tutte le falangi debbano essere in movimento durante la produzione del suono, ma devono mantenere una tensione così da trasmettere l'energia cinetica impressa dal braccio fino al martello che colpisce la corda. 

 

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